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Piermarini, Giuseppe.

Architetto italiano. Studiò architettura a Roma sotto la guida di Paolo Posi e di Luigi Vanvitelli e quest'ultimo lo volle accanto sé nel 1765 a Caserta, dove era a capo dei lavori per la costruzione della Reggia (1765-69). Nel 1769 giunse a Milano, chiamato ancora da Vanvitelli, che il Governo austriaco aveva voluto a restaurare l'antico palazzo reale. Il maestro lasciò l'incarico a P. che realizzò così la prima opera significativa del Neoclassicismo milanese: l'artista demolì l'ala adiacente il duomo e, oltre alle modifiche alle facciate e agli interni, trasformò il cortile in una piazza collegata a quella della vicina cattedrale. Nel 1770 venne nominato "imperial regio architetto e ispettore generale delle fabbriche in Lombardia", carica che conservò fino al 1796, quando dovette lasciare l'incarico in seguito all'arrivo dei Francesi. Con la sua opera P. influì notevolmente sull'aspetto architettonico della Milano di fine Settecento, grazie alla costruzione dei maggiori edifici pubblici del periodo. Nella sua architettura confluì, oltre alla lezione di Vanvitelli, l'influenza della tradizione milanese, in particolare dei grandi edifici del Cinquecento e del Seicento di architetti quali F.M. Richini e P. Tibaldi. Sono suoi palazzo Greppi (1772-78), palazzo Moriggia (1775), palazzo Cusani (1773-75), palazzo Litta (facciate verso il giardino), il portale del palazzo di Brera (1780), palazzo Belgioioso (1772-81), con l'imponente facciata divisa da lesene e colonne. Nei dintorni di Milano P. realizzò, sempre con lo stesso stile severo ed elegante, la villa ducale (ora reale) di Monza (1776-80) per l'arciduca Ferdinando, villa d'Adda a Cassano, villa Prinetti ad Ello. In questi edifici è evidente l'intreccio di motivi che rimandano da una parte ai moduli costruttivi della Reggia di Caserta e dall'altra a quelli delle case di campagna e delle residenze della nobiltà lombarda. Nel 1776 gli fu assegnata la cattedra di Architettura all'Accademia di Brera, dove insegnò per un lungo periodo. Nello stesso anno, quando fu distrutto da un incendio il teatro ducale, iniziò la sua opera forse più famosa, erigendo sull'area di Santa Maria alla Scala il Teatro alla Scala (1776-78). Il nuovo teatro fu assunto a modello del teatro lirico ottocentesco, con la distinzione tra platea e palchi, la sala a ferro di cavallo, la ripartizione dello spazio in ambienti distinti (sala, palcoscenico, locali per la vita sociale): secondo questo schema furono realizzati anche i teatri di Novara (1777), Monza (1778), Mantova (1782-83). Curò successivamente la sistemazione di piazza Fontana e della facciata dell'arcivescovado e, dal 1782 al 1787, creò i giardini pubblici, progettò Corso Venezia e la Porta Orientale, sistemò via Santa Radegonda. Dopo l'arrivo dei Francesi ritornò a Foligno, dove lavorò alla costruzione del duomo (Foligno, Perugia 1734-1808).